Il faggio (Fagus sylvatica) è una sorta di pianta-famiglia: nella faggeta, il territorio esclusivo di questa pianta, nessun’altra specie è ammessa. Un bosco puro dove una sola pianta celebra se stessa e il manto di foglie a terra copre il sottobosco con una coltre spessa ma leggera. In faggeta il faggio crea il suo spazio, lo protegge, lo mantiene. E quando vi si cammina sotto le chiome, il fruscio delle foglie si espande come un’eco di passi.
La sua corteccia argentea e sottile si dilata nel disegno di grandi occhi impressi sul fusto. Gli occhi di corteccia si aprono, il faggio ti osserva: sei nella sua casa, sei un ospite di passaggio. Passo dopo passo tutti gli occhi volgono verso di te, spiano curiosi, non c’è angolo della faggeta dove non puoi essere visto. Egoismo vegetale? Assolutamente no! il faggio è una pianta di grande generosità: le sue foglie sono commestibili, dai suoi frutti si estrae un succedaneo del caffè. Il suo legno è stato impiegato nell’industria cartacea per produrre libri. Non a caso nella lingua tedesca “das Buch” significa “il libro” e “die Buche” invece “il faggio”, ambedue parole che richiamano l’inglese “book”. Inoltre dalla distillazione dell’essenza del legno di faggio si ottiene un unguento antico, il creosoto, ottimo disinfettante e antisettico contro le infezioni. Recentemente il faggio è risultato prezioso per l’industria tessile poichè se ne ottiene una fibra pregiata.
Il faggio è una pianta maestosa perchè non sacrifica alcun ramo: molte piante, direzionando la crescita in modo verticale, lasciano decadere i rami bassi. Il faggio invece sostiene anche le foglie dei rami bassi e sa inclinarle per seguire il viaggio della luce nel bosco. Con i rami bassi protegge il terreno e tiene il bosco pulito dalle infestanti.
Il suo contributo al paesaggio montano è notevole: basti pensare alle colorazioni invernali delle faggete, con il grigio argentato dei tronchi, il rosso porpora dei giovani rami e il bruno aranciato della lettiera. Il fogliame estivo è verde gaio, ma è in grado di proiettare una notevole ombra sotto di sè.
Il faggio: come riconoscerlo
Il faggio, parente del castagno e della quercia, come loro può vivere molti secoli ma ad altezze superiori, dai settecento ai millecento metri e a volte molto oltre, nella zona chiamata faggetum. E’ una pianta arborea decidua, latifoglia, che può facilmente superare i 30 metri di altezza. Ha una corteccia liscia dal colore grigiastro e una chioma piuttosto folta e molto ramificata.
Con le sue radici superficiali vive volentieri dove ci sono sassi e non ristagna l’acqua, perché umidità e freschezza le preferisce nell’aria. Lì migliora la qualità del terreno, facendogli arrivare attraverso le radici il nutrimento elaborato dalle foglie che in autunno cadono, dopo che il verde della clorofilla è scomparso e si rivela il giallo e arancio di altre sostanze. Formano dei tappeti vivaci che col tempo si decompongono e diventano humus. La loro elasticità le rendeva adatte ad imbottire ogni anno i materassi dei montanari, che del faggio utilizzavano tutto.
Le foglie del faggio europeo hanno forma ovale, sono di colore verde-lucido, alterne, con margine dentellato.
L’albero in autunno mette le gemme lunghe e acuminate, rivestite di una pellicola rossa che dà una bella sfumatura di colore ai rami spogli. Così è pronto per la primavera, anche quando viene piantato in pianura, nei giardini delle ville dove il suo bell’aspetto si accorda con quello di altri alberi di pregio. Se ne vedono con foglie tanto scure da sembrare quasi nere: sono quelli della varietà purpurea, che si carica di rosso dove è esposto al sole, mentre le zone in ombra restano verdi. Il nero, in natura, se si diluisce rivela spesso di essere un rosso bordeaux molto carico.
Il faggio è pianta monoica, cioè produce sulla stessa pianta sia fiori maschili che fiori femminili: i fiori maschili sono riuniti in amenti penduli e rotondeggianti, con un lungo picciolo, e sono di colore giallastro. I fiori femminili sono di colore verdastro e sono portati da infiorescenze biflore erette.
I fiori vengono impollinati dal vento ed i frutti, le faggiole, sono numerosi nelle estati successive a quelle molto calde ed asciutte. Quando si aprono sembrano fiori di cuoio, che lasciano cadere i semi a forma di mandorle sottili, mangiate volentieri dagli animali ma anche dagli uomini. Si ricavava da essi un surrogato del caffè, farina, e un olio utile per l’illuminazione. Gli involucri delle faggiole, se bolliti tingono i tessuti in giallo daino.
La legna dava il più confortevole calore e, una volta diventata cenere, era bollita in acqua per ottenerne lisciva con cui lavare i panni. Quando il legno serviva per mobili o attrezzi, i trucioli a volte erano messi nel vino per farne il migliore aceto. La corteccia grigia e sottile, un tempo si impiegava per farne carta. Sembra che Gutemberg per i primi caratteri di stampa usasse il faggio.
Il Faggio: clima e areale di diffusione
La specie prospera nelle pianure e sulle colline dell’Europa centrale a clima sub-umido e, nell’Europa meridionale, occupa i versanti dei monti che più facilmente intercettano piogge e masse d’aria umida.
Il faggio predilige inverni anche freddi, ma non gelidi (la specie tollera fino a -25 °C evidenziando danni non letali già a -15 °C), primavere piovose e nebbiose, senza gelate e ha un periodo vegetativo piuttosto lungo, da un minimo di 110 giorni di piena fogliazione a un ottimo di 160-180 giorni, con temperatura media superiore ai 10 °C (Lausi, Pignatti, 1973).
La temperatura media annua deve essere compresa fra 5 e 9 °C con valori medi dei mesi più freddi fra -5 e 0 °C e quella dei mesi più caldi fra 16 e 20 °C. Quando questi fattori non sono soddisfatti la specie si ritira in stazioni rifugio sui versanti esposti a nord, nei valloni laterali o nei fondovalle più freschi. Le gelate primaverili, cui la specie è sensibilissima, ne limitano la distribuzione altimetrica e la diffusione nelle valli a clima continentale; la corteccia sottile e rigida rende la specie soggetta a cretti da gelo, anche su piante adulte. Le giovani piantine reagiscono bene ai danni da gelo, ma risultano precocemente biforcate.
Le forti escursioni termiche producono, nella fase di ripresa vegetativa, danni elevati sia sui soggetti adulti sia sui giovani anche con temperature di poco inferiori agli 0 °C (-2 °C); alcuni individui, per eludere le gelate tardive, hanno manifestato la capacità, con caratteri costanti, di ritardare il periodo di emissione delle foglie.
Le faggete: caratteristiche
Le faggete possono essere inquadrate dal punto di vista ecologico, vegetazionale e floristico in diverse tipologie sostanzialmente dipendenti dalle condizioni edafiche imposte dalla roccia madre, oltre che da quelle microclimatiche. Si possono distinguere pertanto tre tipi principali di faggete: le faggete acidofile, mesofile e calco-termofile:
- faggete acidofile: si sviluppano su suoli acidi, impostati su rocce silicee, da relativamente secchi fino a umidi e poco dotati di nutrienti. Nello strato arboreo il Faggio domina quasi incontrastato, accompagnato sporadicamente da Betulla (Betulla pendula), sorbo degli uccellatori e talvolta, alle quote inferiori, l’Agrifoglio. Sotto le chiome degli alberi penetra ben poca luce, per cui il sottobosco mostra una scarsissima copertura arbustiva.
- faggete mesofile: si insediano nelle stazioni più fertili, con suoli freschi, profondi e ben dotati di nutrienti. Si tratta di boschi di latifoglie più frequentemente governati ad alto fusto; il Faggio raggiunge qui la sua massima statura e ad esso sovente si accompagnano in subordine altre essenze mesofile come il Ciliegio selvatico, mentre negli impluvi sono frequenti anche il Frassino e l’Ontano bianco. Alle altitudini superiori si mescola talvolta anche l’Abete bianco.
- faggete termofile: vegetano sui substrati calcarei con suoli poco profondi, spesso in notevole pendenza, in esposizioni soleggiate e calde. Il fattore ecologico limitante, che più di tutti determina le caratteristiche di questo ambiente, è la quantità di acqua disponibile nel terreno durante la stagione vegetativa: il substrato permeabile e le esposizioni a solatìo causano condizioni di secchezza del suolo che si riflettono nella presenza nel sottobosco di specie adattate a condizioni di bassa disponibilità d’acqua o anche tolleranti aridità intermittente. Inoltre, le forti pendenze rendono il suolo piuttosto soggetto all’erosione e non permette al Faggio di sviluppare una copertura più fitta delle chiome. Le faggete termofile sono boschi piuttosto luminosi dove il sottobosco è relativamente ben sviluppato.
Faggio erboristeria: Plinio il Vecchio
Plinio il Vecchio, un autore romano nato a Como, in Naturalis Historia, Libro XIV descrisse l’uso di ceneri di faggio (Fagus sylvatica L.) per i capelli rossastri.
Faggio erboristeria: studi sui principi attivi
Dallo studio Biological and Chemical Insights of Beech (Fagus sylvatica L.) Bark: A Source of Bioactive Compounds with Functional Properties: alcuni dati di letteratura evidenziano che la corteccia di faggio può essere una ricca fonte di composti bioattivi. Inoltre, in uno studio precedente sono stati identificati alcuni dei composti fenolici ottenuti dalla corteccia di faggio mediante estrazione con acqua calda (acido vanillico, catechina, taxifolina e siringina). Hofmann et al. hanno identificato 37 composti negli estratti di corteccia di faggio, tra cui catechina, epicatechina, quercetina, taxifolina, procianidine, acido siringico e acido cumarico.
Per quanto riguarda l’attività biologica degli estratti di corteccia di faggio, le informazioni della letteratura sono piuttosto limitate. In lavori precedenti è stata valutata l’attività antibatterica e antitumorale degli estratti acquosi di corteccia di faggio, ottenuti mediante estrazione classica. Gli estratti di corteccia di faggio hanno indotto una diminuzione della vitalità cellulare del melanoma A375 e dell’attività antimicrobica contro lo Staphylococcus aureus, compresi i ceppi resistenti alla meticillina. In un altro studio, Hofmann et al. hanno scoperto che gli antiossidanti più efficienti nella corteccia di faggio erano la (+)-catechina, la procianidina B dimero 2, (−)-epicatechina e l’isomero 2 della coniferina.
Faggio Erboristeria: Il faggio in gemmoterapia
In gemmoterapia del faggio si utilizzano le gemme. Organotropismo del faggio: reni, tessuto adiposo, sistema reticolo endoteliale.
Secondo i manuali di gemmoterapia, il Faggio avrebbe azione antistaminica e diuretica, aumenterebbe le gamma globuline, riequilibrerebbe inoltre l’assetto lipidico. Per tali motivi il gemmoderivato o il macerato glicerico di faggio è consigliato per le sindromi allergiche, nell’ipogammaglobulinemia, nel sovrappeso, cellulite e ritenzione idrica.
La sua azione si esplicherebbe anche a livello del centro cerebrale regolatore dell’appetito: frenando l’appetito e stimolando la diuresi favorisce quindi una buona adesione al regime dietetico che sempre deve accompagnare un programma di dimagrimento. Il gemmoderivato di faggio mostra anche un’azione favorevole nella nefrolitiasi, per cui risulta utile nella prevenzione della calcolosi renale. L’azione drenante è data dallo stimolo di questo gemmoderivato a livello delle cellule epatiche di Kupffer.
Alcuni consigli per l’utilizzo in gemmoterapia, con cicli di 2-3 mesi:
Per la cellulite:
Linfa di Betulla 1DH, 50 gocce in acqua prima di colazione
Fagus sylvatica M.G.1DH 50 gocce in acqua prima di pranzo
Juniperus communis M.G.1DH 50 gocce in acqua prima di cena
In caso di renella:
Linfa di Betulla 1DH, 50 gocce in acqua prima di colazione
Fagus sylvatica M.G.1DH 50 gocce in acqua prima di pranzo
Linfa di Betulla 1DH 50 gocce in acqua prima di coricarsi
In caso di IPOGAMMAGLOBULINEMIA
Fagus sylvatica M.G.1DH, 50 gocce in acqua prima di colazione
Rosa canina M.G.1DH 50 gocce in acqua prima di pranzo e cena
Come si prepara un macerato glicerinato?
La gemmoterapia è un metodo terapeutico, di ambito fitoterapico, che utilizza tessuti vegetali freschi allo stato embrionale, quali le gemme o altri tessuti in via di accrescimento (giovani getti, giovani radici, scorza delle radici, semi, scorza dei giovani fusti ecc.). I tessuti embrionali sono preparati secondo una particolare procedura, codificata nella Farmacopea francese ed europea, che porta all’ottenimento del macerato glicerinato. Tale preparato viene quindi,
generalmente, diluito alla prima decimale hahnemanniana.
Si legge: “La massa del macerato glicerinato ottenuta è generalmente uguale a 20 volte quella della materia prima, calcolata in rapporto a questa materia prima essiccata. Selezionate, pulite e sminuzzate in modo appropriato la materia prima. Su un campione medio, determinate la perdita dovuta all’essiccamento per riscaldamento a una temperatura inferiore a 105 °C, fino a massa costante. In base al risultato ottenuto, introducete la materia prima nella quantità della miscela di alcol e di glicerolo calcolata in maniera da ottenere un macerato glicerinato a 1/20. Lasciate macerare
per 3 settimane almeno agitando sufficientemente. Decantate e filtrate a pressione vicina a 107 Pa. Mescolate i liquidi ottenuti, lasciate riposare 48 ore e filtrate”. Quanto ottenuto è il macerato glicerico (M.G.) di base o macerato-madre.
Come si ottiene un gemmoderivato?
La maggior parte dei laboratori a partire dal macerato-madre o macerato glicerinato (M.G.) attua in una miscela di acqua, alcol e glicerina una successiva diluizione alla prima decimale hahnemanniana (1DH): una parte del preparato di base (M.G.) viene diluita con 9 parti di una miscela contenente 50 parti in peso di glicerina, 30 parti di alcol e 20 parti di acqua. Il tutto viene sottoposto ad agitazione per miscelare in modo ottimale il preparato. Comunemente il grado alcolico raggiunto è di 38°.
Quanto ottenuto rappresenta una soluzione 10 volte più diluita rispetto al macerato base. È bene inoltre sottolineare che, in ambito gemmoterapico, questo tipo di diluizione (1DH) non comporta la dinamizzazione tipica delle preparazioni omeopatiche. Tale preparato viene definito come macerato glicerico (M.G.) alla prima decimale hahnemanniana (1DH) ovvero → M.G.1DH, comunemente conosciuto come “gemmoderivato”.
Dott.ssa Laura Comollo
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